Leone XIV. Mons. Baturi (Cei): “Una gioia di popolo, un segno di unità e di pace”

Scritto il 09/05/2025
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“È stata una gioia di popolo, il popolo cristiano, quello radunato in Piazza San Pietro, ma anche quello che ha seguito l’evento in televisione. Un momento di unità, di comunione. Le immagini riassumono bene la natura della Chiesa: una realtà che mette insieme popoli, lingue e nazioni”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, non nasconde l’emozione nel raccontare le sue prime impressioni sull’elezione di Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, primo pontefice statunitense e agostiniano. “È un tratto bello, avvertito in un discorso profondo, ma semplice, accessibile a tutti, con un cuore paterno, un cuore che sant’Agostino chiedeva ai suoi vescovi”, aggiunge, ricordando il calore e la partecipazione di quanti hanno assistito al primo saluto del nuovo Papa dalla loggia di San Pietro.

Eccellenza, che impressione ha avuto nel vedere Leone XIV affacciarsi per la prima volta dalla loggia?
Una grandissima impressione. È stata una gioia di popolo, il popolo cristiano, quello radunato in Piazza San Pietro, ma anche quello che ha seguito l’evento in televisione. Un momento di unità, di comunione. Le immagini riassumono bene la natura della Chiesa: una realtà che mette insieme popoli, lingue e nazioni. Questo è un tratto bello, avvertito in un discorso profondo, ma semplice, accessibile a tutti, con un cuore paterno, un cuore che sant’Agostino chiedeva ai suoi vescovi.

Nella sua biografia si riassumono elementi di studioso, missionario e pastore, con una vicenda personale che parla anche delle sue origini.

Le emozioni che abbiamo percepito sono l’espressione della presenza di Dio stesso di fronte al popolo.

L’emozione del Santo Padre era palpabile, una commozione rara. Che significato attribuisce a questo gesto così autentico?
Era commosso. Lo si vedeva chiaramente in televisione. E che c’è di male? Viene in mente la commozione di Gesù di fronte alle folle. Più volte nel Vangelo si ripete che “ebbe compassione”, e questo mi sembra un segno importante. Il popolo di Dio ha un intuito spirituale, un dono che gli permette di riconoscere la verità e la bontà, di sentire la disponibilità a seguire.

(Foto AFP/SIR)

Durante il Conclave si sono rincorse ipotesi e previsioni, ma ancora una volta la Chiesa ha sorpreso. È questo il suo segreto?
Sì, la Chiesa sorprende e insegna. Papa Leone XIV è stato eletto dopo quattro scrutini, al termine di numerose e lunghe Congregazioni generali, dove si è discusso a fondo.

Tutti sono rimasti sorpresi, sì, ma questa sorpresa conferma anche la grandezza della Chiesa, che, docile allo Spirito, è capace di grandi gesti di unità e di coraggio. Le poche parole che ha pronunciato dalla loggia sono state già quasi un discorso programmatico del pontificato.

La pace è stata il cuore del suo primo saluto. Un richiamo potente, che coinvolge anche la Chiesa italiana. Come interpreterà questo impegno?
È una pace che ha voluto caratterizzare come data dal Risorto. A pensarci bene, è l’ultima parola che Francesco ha pronunciato dalla loggia delle Benedizioni: la pace. L’ha augurata a tutti.

Leone XIV ha voluto indicare che questa pace, capace di abbracciare tutti, deve essere una pace di popolo. La pace ha bisogno di un soggetto, di una comunità pacificata, di un popolo che stringa amicizia.

Non può essere semplicemente una risposta emergenziale: è un progetto di popolo.

Un progetto di popolo che affonda le radici nella riconciliazione e nel disarmo interiore. È questo il volto della Chiesa che immagina?
La pace deve essere fondata sul bene dell’uomo. Non una pace teorica, ma una pace reale, concreta, che passa attraverso la riconciliazione e il disarmo interiore. La Chiesa italiana ha sempre preso posizione su questi temi. Anche nella biografia di Leone XIV si intrecciano elementi di studio, missione e governo della Chiesa: è stato missionario in Perù, è un uomo di studio, un agostiniano. Ma è anche un uomo di Curia, perché negli ultimi anni ha servito come prefetto del Dicastero per i Vescovi. Ha conosciuto le realtà delle periferie, ma anche il cuore dell’amministrazione ecclesiale. Questo gli permette di avere una visione ampia della Chiesa e del mondo.

Il motto agostiniano scelto da Papa Leone XIV – “In Illo Uno Unum” – evoca una dimensione pastorale intima e profonda. Come si tradurrà questa visione nel suo ministero?
È un richiamo molto significativo. Sant’Agostino diceva: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”. Questo significa che il servizio episcopale nasce dall’essere parte del popolo di Dio. Non è un ruolo distaccato, ma immerso nella comunità, parte di essa. Leone XIV ha voluto riprendere questa espressione come guida del suo ministero, un ministero che indica la via, ma che si fa compagno di cammino.

Dottrina sociale, giustizia, pace. La Chiesa italiana è sempre stata in prima linea su questi temi. Cosa si aspetta dal nuovo Papa?
Mi viene in mente Leone XIII, che, dopo la frattura con lo Stato italiano, ha affrontato la questione della modernità con grande coraggio.

La Chiesa italiana è pronta, sia in termini di pensiero che di operosità, a raccogliere questo invito e a vivere un nuovo capitolo rispetto all’essere comunità operosa, solidale, attenta ai bisogni delle persone.

E poi c’è Leone Magno, che è stato un pontefice capace di affrontare momenti di crisi con fermezza e visione pastorale. Il riferimento a lui non è casuale: indica una volontà di guida solida e di attenzione alle necessità della Chiesa universale.

Nel primo discorso di Leone XIV si è percepito un messaggio chiaro: la Chiesa non ha paura. Come si traduce questo coraggio nella realtà italiana?
La Chiesa non ha paura perché cammina nella certezza che Dio ama tutti, e quindi tutti devono essere abbracciati. Il Vangelo è forte e deve affrontare le sfide del nostro tempo con coraggio e apertura.

Molti attendevano un Papa italiano, invece è stato eletto un Pontefice statunitense. La nazionalità è stata davvero una questione decisiva nel Conclave?
Non credo che la nazionalità sia stata un tema determinante. L’elezione è avvenuta in un clima di preghiera e di comunione. Giovanni Paolo II diceva che il Papa deve parlare tutte le lingue, abbracciare tutti i popoli. In questo senso, non penso proprio che ci siano state opposizioni, anzi: è stato un segno di unità.

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